TEATRO DI LEO | Totò, principe di Danimarca di Leo De Berardinis - Part 1 - Video
PUBLISHED:  Oct 08, 2013
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TEATRO DI LEO
"Totò, principe di Danimarca" di Leo De Berardinis da William Shakespeare

Regia, ideazione luci, spazio scenico, colonna sonora, montaggio: Leo De Berardinis

Attori: Leo de Berardinis, Elena Bucci, Valentina Capone, Ilaria Drago, Marco Manchisi, Fabrizia Sacchi, Marco Sgrosso, Enzo Vetrano

Luci teatrali: Maurizio Viani
Costumi: Ursula Patzak
Aiuto regia teatrale: Stefano Randisi
Fotografia: Francesco Cavazza
Fonico di ripresa: Luigi Busacchi
Tecnico del montaggio: Gian Piero Lelli
Direzione di produzione: Faffaele Drago
Consulente: Felice Cappa
Produttore Rai: Pietro Ruspoli

Regia video: Leo De Berardinis

Durata: 157'


Totò ed Amleto sono due miei fortissimi riferimenti, le esplosioni naturali del primo vengono temperate dall'estrema "solitudine" ricercata dal secondo e viceversa. Sono due mie componenti come di qualsiasi altro uomo. E nello stesso spettacolo è come se Totò sognasse Amleto e Amleto sognasse Totò. Non c'è nessuno spazio per la parodia. La farsa viene assorbita pian piano, c'è come un rientrare in sé, Totò viene inesorabilmente "morso dal serpente" metafisico e contemporaneamente dà energia ad Amleto. Amleto l'ho sempre vissuto come quel particolare stato di coscienze in cui ci si distacca da un mondo e si entra in un altro. Avviene in chiunque, in ognuno. Soltanto i livelli sono diversi. In Shakespeare il livello è altissimo, Amleto è la premessa, è l'inizio del viaggio che porterà al "mago" Prospero; all'uomo completato, all'uscita dal Purgatorio verso altre dimensioni. In Totò, principe di Danimarca la tragedia (secondo me a lieto fine, e quindi la Commedia) di Amleto è incastrata nella farsa, nell'inferno, e un po' alla volta ne emerge. La pura terrestrità di Totò, che nulla ha a che vedere con il marciume della Danimarca ha nella manica l'asso della trasformazione della coscienza. La suggestione di un altro genio comico, Charlie Chaplin, mi ha fatto vedere Ofelia come "violetera" di Luci della città, un'Ofelia che alla fine, da cieca che era, può finalmente vedere, e vede orrore e tristezza. Vede che "tutto il mondo è (può essere) burla", che siamo, possiamo essere "tutti gabbati" come nel Falstaff di Verdi, che si ascolta nel prefinale dello spettacolo. Possiamo essere "tutti gabbati" quando la storia si configura come vaneggiamento o, marciume, falsa testimonianza. Negl'incubi-sogni di Totò è fortemente presente il decadimento morale e politico, la malattia del Regno a livello individuale e collettivo. In Shakespeare Amleto ne viene fuori, conquista la dimensione del silenzio, azzera il rumore della storia. Totò non è ancora pronto, ma ha la volontà di proseguire, di continuare in un ballo che può anche essere insensato, eternamente vacuo, o forse anche altro. Leo de Berardinis

"Totò ed Amleto sono due miei fortissimi riferimenti, le esplosioni naturali del primo vengono temperate dall'estrema "solitudine" ricercata dal secondo e viceversa..." Leo de Berardinis
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